Tagli sullo stipendio, la notizia che preoccupa i lavoratori italiani. Quali sono le prospettive per il prossimo futuro.
Il momento per l’economia italiana continua a essere delicato, con la stringente necessità di far quadrare i conti del bilancio di Stato. Si tratta per il governo di un impegno gravoso che non può essere eluso, in considerazione anche degli accordi con i partner dell’Unione Europea.
Gli obblighi sono stringenti e non consentono articolari spazi di manovra. Purtroppo gli stipendi per i lavoratori del nostro Paese restano bassi in proporzione a quelli delle altri grandi economie europee e inoltre segnano il passo da ormai molti anni. Lo scorso anno una lieve boccata d’ossigeno è arrivata con il taglio del cuneo fiscale coperto dallo Stato, ma il peso sui conti pubblici è notevole.
Gli incrementi dei mesi scorsi in busta paga sono derivati essenzialmente per lo sgravio del contributi versati dai dipendenti, per l’accorpamento degli scaglioni Irpef da quattro a tre, e infine per lo sgravio contributivo aggiuntivo destinato alle lavoratrici madri con almeno 2 figli. Per la copertura dello sgravio contributivo per tutti i dipendenti sono occorsi circa 10 miliardi di euro, per l’accorpamento IRPEF la spesa per lo Stato ammonta a 4,3 miliardi di euro, mentre per il bonus mamma servono 1,5 miliardi.
Queste cifre sono del tutto incompatibili con gli accordi presi a livello europeo che prevedono un rientro strutturale dal deficit pubblico dello 0,5 per cento annuo. Con la Legge di Bilancio 2024 i miliardi di euro di extra deficit sono stati circa 15,7. Una cifra non riproponibile con gli impegni presi che impediscono il ricorso all’extra deficit per il 2025. La conseguenza potrebbe la necessità di abrogare le misure di sgravio contributivo, cioè il taglio del cuneo fiscale.
Lo stesso governo ammette che non sarà semplice mantenere il taglio del cuneo fiscale alla luce del Patto di Stabilità sottoscritto. La possibilità che gli stipendi di fatto siano tagliati è reale. Le soluzione alternative per mantenere queste misure sono essenzialmente due: la prima consiste nell’aumentare la tasse e la seconda in una decisa sforbiciata alla spesa pubblica. Nessuna delle due opzioni pare auspicabile, trattandosi di scelte impopolari e dolorose.
Si può sperare di concordare con la Commissione europea un piano di rientro meno duro che tenga conto dell’aumento degli interessi, mantenendo in tal modo la possibilità di investimenti nel settore pubblico. Ma la trattativa con i falchi del nord non è semplice e non certo che porti i risultati sperati.
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