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Fonti energetiche: la grande paura

Emiliano Angelelli, editor di Blogeko, ha intervistato Nicola Armaroli, ricercatore del CNR e autore di numerose pubblicazioni.

D- In questi giorni a causa della crisi Russia-Ucraina si è riacceso il dibattito sul metano e sulla necessità di far fronte stabilmente ai rifornimenti di gas naturale. Il governo ha ribadito il proprio impegno in tal senso assicurando la diversificazione delle fonti (il gas arriva infatti in Italia attraverso quattro metanodotti), la costruzione di nuove centrali a turbogas e l’installazione di rigassificatori. Troppo spesso, però, quando si parla di metano si tende a fare riferimento ad esso come a una fonte energetica pulita. Vogliamo fare qualche chiarimento a riguardo?

Fonti energetiche, in un’intervista Nicola Armaroli fa il punto dellasituazione – Blognews24.it

R- Il metano non può essere definito una fonte pulita, ma è sicuramente quella con il minor impatto ambientale fra i combustibili fossili. Questa stortura fu introdotta in Italia molto tempo fa, probabilmente ai tempi della famosa campagna pubblicitaria che aveva come slogan ‘Il metano ti dà una mano’. Con questo non voglio dire che il metano sia una risorsa il cui utilizzo è da considerarsi deprecabile, ma tra affermare questo e dire che non inquina c’è una bella differenza.

D- Il dibattito sulla costruzione delle centrali a turbogas va avanti ormai da molti anni, ma dopo il black-out del 2003 si è assistito a una vera e propria ‘corsa al metano’ sponsorizzata dalle istituzioni. Secondo lei in quali casi è auspicabile utilizzare questa fonte energetica?

R- Nei casi particolari di riconversione delle centrali a carbone o a olio combustibile, ma quando la questione coinvolge la costruzione di un nuovo impianto in una zona altamente inquinata, come ad esempio la pianura padana, non si può agire a cuor leggero perché si tratta di strutture che consumano quantità enormi di combustibile, che comportano un elevato grado di complessità per ciò che concerne l’installazione e che soprattutto producono polveri primarie. Nel caso specifico parliamo di ossidi di azoto che a loro volta danno origine al particolato secondario, le cosiddette polveri sottili. Quindi è falso affermare che le centrali a metano non sono causa di formazione delle polveri; bensì ne producono una quantità limitata in maniera diretta mentre il resto è frutto di un processo di formazione indiretto che, però, contribuisce anch’esso in maniera considerevole al cosiddetto smog fotochimico. Personalmente ero favorevole alla riconversione degli impianti a olio combustibile, ma da quando è iniziata la ‘corsa al metano’ mi sono sempre trovato in disaccordo con quest’operazione. Affermo questo perché si tratta di un’infrastruttura debole dal punto di vista geopolitico e in caso di problemi internazionali gli approvvigionamenti diventano a rischio (come ha dimostrato in questi giorni la crisi Russia-Ucraina). Per l’Italia la questione di fondo è rappresentata dall’incapacità di raggiungere l’autosufficienza energetica e finché non passeremo a un sistema totalmente basato sulle energie rinnovabili la situazione rimarrà tale.

Le centrali a metano producono polveri sottili

D- Parliamo del metano in quanto gas serra.

R-Il metano è un gas serra 21 volte più potente dell’anidride carbonica, ma ha un ciclo molto più breve, scompare infatti dall’atmosfera nell’arco di 8-10 anni grazie ai processi di ossidazione e all’azione dei batteri metanotrofi che lo trasformano in CO2. Naturalmente parliamo di metano fuggitivo e quindi incombusto, frutto delle perdite presenti nelle condotte. Mentre quello usato come combustibile produce direttamente anidride carbonica (circa la metà rispetto a quella degli altri combustibili fossili).
Perciò il problema rappresentato dal metano consiste nel fatto che, oltre a dar luogo alla formazione di CO2, esso stesso è un gas serra e contribuisce in buona parte al surriscaldamento del pianeta poiché è inevitabile che le condotte perdano, dai giganteschi gasdotti provenienti dalla Russia ai semplici tubi per il riscaldamento domestico.

Cosa si sa sulle centrali di metano – Blognews24.it

D- Perciò come definirebbe il rapporto tra il metano e il protocollo di Kyoto?

R- Stabilito che l’impatto ambientale del metano combusto è minore rispetto a quello dell’olio combustibile, si può tranquillamente affermare che si tratta di una buona soluzione di passaggio. Bisogna però definire quanto metano incombusto viene liberato dalle condotte durante il ciclo della produzione industriale, per stabilire quale sia il suo reale impatto a livello globale.
Negli Stati Uniti, riferendomi al caso specifico della California, questi calcoli sono stati fatti e sono stati messi al bilancio per verificare, non solo la quantità di CO2 prodotta, ma anche quella di metano e degli altri inquinanti al fine di calcolare l’effetto serra globale provocato dalle centrali in questione. L’obiettivo è quello di stabilire poi delle politiche di compensazione adeguate attraverso le quali, prendendo sempre come esempio la California, è necessario obbligare gli impianti a dotarsi delle migliori tecnologie di abbattimento degli inquinanti e, stabilito il contributo di emissioni relativo a ognuno di essi, è indispensabile ridurre quelle provenienti da altre fonti.
Infatti il gas che noi utilizziamo arriva in Italia attraverso quattro metanodotti (Russia, Algeria, Norvegia e Libia) e quasi il 30% di esso proviene dalla Siberia. Lungo questo percorso di oltre 5000 km ci sono moltissime perdite che, se attualmente grazie ai progressi tecnologici sono state ridotte notevolmente, rimangono comunque una sorgente ’silenziosa’ di gas serra e un pericolo costante per la nostra salute.

Nicola Armaroli è autore di numerose pubblicazioni tra cui “Energia oggi e domani – Prospettive, sfide, speranze” di Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani (Bononia University Press 2004)

Redazione

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